Articolo realizzato da Elena De Lorenzi

Il gatto è una creatura che condivide con noi questo Pianeta da millenni; si possono trovare gatti quasi in ogni parte del mondo, e in ognuno di questi Paesi i gatti hanno vissuto, nella storia, esperienze di vita completamente diverse. Qui vorrei parlare del ruolo che i piccoli felini hanno (e hanno avuto) nella cultura del Sol Levante.

In poche culture il gatto si può dire così fortunato come in quella Giapponese: in questo Paese, infatti, i gatti sono assolutamente ben visti, non solo oggi, ma anche a livello storico. Esistono molte leggende, rappresentazioni artistiche ed opere letterarie che vedono come protagonisti i nostri amici a quattro zampe. Partiamo però inserendo il gatto in un contesto storico: circa 1000 anni or sono i gatti giunsero in Giappone tramite nave. Essi venivano già ben visti dai marinai, dal momento che proteggevano i carichi delle imbarcazioni dai topi, qualità che venne molto apprezzata anche sulla terra ferma. Con il passare del tempo, dei gatti vennero ospitati anche nei templi Buddhisti a protezione dei manoscritti che fino a quel momento rischiavano di essere rosicchiati dai topi, diventando così dei veri e propri guardiani. Sul territorio giapponese esistono addirittura templi dedicati ai nostri amici felini.

Anticamente, come ci mostrano anche alcune raffigurazioni dell’epoca, i gatti venivano spesso ospitati nelle pagode private di gente molto benestante, ma nel 1602 il governo impose la liberazione dei gatti in natura per proteggere il territorio e le industrie locali dai topi. Da questo momento la convivenza con i gatti diventò possibile anche per le persone appartenenti a ranghi sociali più umili, ed iniziarono così a nascere varie leggende legate a queste affascinanti creature.

Una di queste leggende, che vede come protagonisti il gatto e la magia, narra che i nostri amici a quattro zampe sappiano trasformarsi in esseri umani (molto spesso in donne). Ma da dove nasce questa leggenda?

Allora in Giappone l’alimentazione della maggior parte delle persone era composta principalmente da cereali e verdure. I gatti vennero da subito introdotti come animali domestici ed alimentati dagli esseri umani con gli avanzi del proprio cibo; ma nonostante i gatti gliene fossero grati, questo non bastava dal momento che il gatto è un carnivoro obbligato. A quel tempo venivano usate le lampade ad olio, le quali spesso venivano appoggiate su postazioni sopraelevate; queste lampade erano solitamente alimentate con olio di pesce, naturalmente molto gradito ai gatti, i quali di sera si allungavano verso di esse sostenendosi sulle zampe posteriori e bevendo quest’olio. Gli umani vedevano così l’ombra allungata del gatto e, a causa della condizione di penombra e della particolare postura del micio, gli sembrava di vedere un’ombra umana.

Le figure del folklore legate a questo tipo di leggenda sono due: il Bakeneko e il Nekomata. Entrambi sono due grandi felini con la capacità di trasformare il proprio corpo ed assumere sembianze umane, però il Bakeneko ha un’accezione più positiva rispetto al Nekomata. Si dice che quest’ultimo infatti abbia un legame con il mondo dei morti, riuscendo addirittura a resuscitare cadaveri tenendoli però sotto il proprio controllo come se fossero delle marionette. Molto spesso questi demoni vengono raffigurati con una (se non addirittura due) coda molto lunga, e sarebbe proprio la coda la chiave delle sue “stregonerie”. Sarebbe proprio per questa credenza che secondo alcuni, la coda lunga sia sinonimo di sfortuna e che quindi venne tagliata ai gatti formando così la razza del Japanese Bobtail. Un’altra storia, relativa alla formazione di questa razza, riguarda invece un normale gatto che ebbe un episodio sfortunato proprio a causa della sua coda lunga. Il poverino, infatti, stava riposando accanto al fuoco quando, senza rendersene conto, la sua coda gli andò troppo vicino e una scintilla le fece prendere fuoco. Il gatto, terrorizzato, iniziò a correre per le strade della città con la coda in fiamme, incendiando tutto. Dopo quell’episodio, l’Imperatore avrebbe ordinato l’amputazione della coda per tutti i gatti del Giappone.

Un famosissimo micio dalla coda “a ricciolo” e dal musino sorridente, è il Maneki Neko: statuetta raffigurante un micio paffutello con una zampetta alzata. Esistono Maneki Neko di ogni colore, ma il più famoso è senza dubbio quello bianco con alcune macchie arancioni e nere. Molto spesso queste statuette tengono in mano una moneta con una scritta incisa, la quale varia in base all’augurio che si vuole offrire, ma solitamente i Maneki Neko sono posti all’ingresso dei negozi come se volessero invitare i clienti ad entrare, e portando fortuna negli affari ai proprietari. Ma, ripropongo la domanda: da dove nasce questa leggenda? In verità esistono varie interpretazioni di questa storia, ma quella che trovo più efficace narra che un uomo benestante si stesse riparando sotto un albero da un violento temporale, quando, da un tempio lì vicino, intravide un gatto muovere la zampa in modo strano, quasi come se volesse chiamarlo a sé. L’uomo, incuriosito, si recò dal gatto, e proprio quando si allontanò dall’albero un fulmine vi cadde sopra, distruggendolo. Il gatto venne allora reso benefattore del tempio, e alla sua morte venne costruita una statua in suo onore.

Altre testimonianze dell’importanza del ruolo del gatto nella cultura Giapponese, ci arrivano dall’arte e dalla letteratura. Durante il periodo Edo (XVII-XX Sec.) ci fu la realizzazione delle opere con la tecnica Ukiyo-e. Questa meravigliosa tecnica consiste nell’incidere l’opera d’arte su un pezzo di legno, lasciando in rilievo il soggetto principale per poi inchiostrarla e stamparla.

Il gatto è un soggetto molto presente in questo tipo di arte, e viene raffigurato sia in comportamenti quotidiani e di interazione inter e intra-specifica, che con fattezze ed abitudini umane. I comportamenti tipici del gatto nella sua natura sono stati colti dagli artisti grazie alla loro convivenza con queste creature e alla loro osservazione. I gatti con fattezze ed abitudini umane, invece, furono ritratti sia per semplice divertimento che come caricatura sociale.

 

Utagawa Kuniyoshi

 

 

 

I gatti non furono però gli unici felini ad attirare l’attenzione degli artisti: infatti molti di loro si cimentarono anche nel disegno di grandi felini come ad esempio le tigri. C’è però un dettaglio che ci fa capire che essi non ebbero mai un incontro faccia a faccia con questi grandi felini e che quindi per dipingerli si ispirarono ai gatti, e si tratta degli occhi; le tigri vennero spesso dipinte con le pupille a fessura come quelle dei gatti mentre loro in verità le hanno tonde, molto più simili a quelle di noi umani.

Maruyama Okyo

 

 

 

 

Nel 19° secolo, venne decretato che la raffigurazione di attori e cortigiani fosse dannosa per la società; fu proprio per questo che gli artisti, cercando di raggirare il problema, iniziarono a dipingere le stesse scene che vedevano questi soggetti come protagonisti, sostituendoli semplicemente con dei gatti vestiti da umani.

Per quanto riguarda l’arte legata al vivere quotidiano, i gatti spesso vennero utilizzati come soggetto per i Netsuke, piccole sculture usate come fermaglio per legare alla cintura degli abiti tradizionali alcuni oggetti.

I gatti sono stati molto presenti anche nella letteratura giapponese, e anche qui trattati spesso con rispetto e massimo apprezzamento (e come dare torto a tali autori?). Un ottimo esempio di questo concetto ci viene offerto da “La Gatta” di Jun'ichirō Tanizaki (titolo originale Neko to Shōzō to futari no onna, 1936). In questo romanzo si narra la storia di Shozo, uomo inconcludente che vive con la madre e la seconda moglie Fukuko, e di Shinako, ex moglie del protagonista che dopo il divorzio vuole avere indietro Lily, la gatta con cui vivevano lei e il marito. Ne “La gatta” vengono descritti sia i rapporti tra i personaggi umani che tra loro e la gatta, la quale, paradossalmente, sembra essere l’unica a conoscere il significato dell’affetto, mentre i protagonisti umani incarnano i difetti che molto spesso vengono attribuiti ai gatti.

Ancora oggi i gatti continuano ad essere molto amati in Giappone: basti pensare che il popolo del Sol Levante è stato il primo a proporre i Cat Cafè: bar in cui vivono gatti, spesso randagi salvati dalla vita di strada. E’ proprio in questi bar che le persone che vivono in appartamenti in cui non è permesso tenere animali hanno comunque la possibilità di passare bei momenti a contatto con degli amici felini. Inoltre il Giappone è la patria dei famosissimi Doraemon, Hello Kitty, e anche della “web star” Maru! Chiedendo ad alcuni amici Giapponesi cosa avessero da dirmi riguardo il rapporto delle persone giapponesi con i gatti mi è stato risposto che sono visti come membri della famiglia, come se fossero dei nipotini pelosi! Ed è proprio questa l’immagine con cui mi piacerebbe concludere questa ricerca: cerchiamo di pensare ai gatti (e a tutti i nostri amici animali) un po’ più come a dei membri della nostra famiglia, dei quali rispettare i diritti e i bisogni, e con i quali condividere la vita e la quotidianità.
 

Elena De Lorenzi

 

 

 

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